BIO
Forse non siamo abbastanza maturi, abbastanza pronti o convinti di diffondere qualcosa.
Noi suoniamo.
Per questo e non per altro rio abbiamo deciso di chiuderci insieme in una sala prove. La prima volta è stata alle porte di uscita di una noiosa estate, senza mondiali e senza europei che la rendessero sopportabile. Congedati, quindi, da serate in cui saremmo stati obbligati a sbrigliare il nostro razzismo e a liberare il nostro falso nazionalismo, abbiamo iniziato piuttosto velocemente, preparando repertori con un iPod in mano e i piedi immersi in una piscina.
Senza accorgercene, eravamo già su un piccolo palco a rompere corde, ad andare fuori tempo e a mettere a frutto qualche nottata passata a provare, chiusi in un centro giovanile, tra collassi, viaggiatori tedeschi e qualcos'altro.
Così tutto ha avuto inizio: compravamo dischi, li ascoltavamo e li copiavamo. Scimmiottavamo le mosse di tutti quei ragazzetti anglosassoni (o giù di lì) che con quelle loro giacchette e con tutto il loro meraviglioso aplomb riuscivano a svegliarci da un torpore quasi fastidioso. E inesorabilmente trascorrevamo il confino nella noiosa Sasso Marconi: cupa, vecchia, triste e all'apparenza insignificante ma in fin dei conti teatro di tutta la nostra storia.
Tra litigi, abbandoni, felicità e soddisfazioni, abbiamo iniziato a scrivere. Lentamente e disastrosamente, questo è certo. Lo abbiamo fatto e continueremo a farlo in inglese perché odiamo l'unica criptica possibilità di comporre in italiano, cadendo in fiumi di orrende sinestesie, che ci farebbero solo lacrimare gli occhi dall'imbarazzo.
Il nostro primo disco si intitola A Supposedly Fun Thing We'll Probably Do Again ed è uscito il 15 aprile.
Noi suoniamo.
Per questo e non per altro rio abbiamo deciso di chiuderci insieme in una sala prove. La prima volta è stata alle porte di uscita di una noiosa estate, senza mondiali e senza europei che la rendessero sopportabile. Congedati, quindi, da serate in cui saremmo stati obbligati a sbrigliare il nostro razzismo e a liberare il nostro falso nazionalismo, abbiamo iniziato piuttosto velocemente, preparando repertori con un iPod in mano e i piedi immersi in una piscina.
Senza accorgercene, eravamo già su un piccolo palco a rompere corde, ad andare fuori tempo e a mettere a frutto qualche nottata passata a provare, chiusi in un centro giovanile, tra collassi, viaggiatori tedeschi e qualcos'altro.
Così tutto ha avuto inizio: compravamo dischi, li ascoltavamo e li copiavamo. Scimmiottavamo le mosse di tutti quei ragazzetti anglosassoni (o giù di lì) che con quelle loro giacchette e con tutto il loro meraviglioso aplomb riuscivano a svegliarci da un torpore quasi fastidioso. E inesorabilmente trascorrevamo il confino nella noiosa Sasso Marconi: cupa, vecchia, triste e all'apparenza insignificante ma in fin dei conti teatro di tutta la nostra storia.
Tra litigi, abbandoni, felicità e soddisfazioni, abbiamo iniziato a scrivere. Lentamente e disastrosamente, questo è certo. Lo abbiamo fatto e continueremo a farlo in inglese perché odiamo l'unica criptica possibilità di comporre in italiano, cadendo in fiumi di orrende sinestesie, che ci farebbero solo lacrimare gli occhi dall'imbarazzo.
Il nostro primo disco si intitola A Supposedly Fun Thing We'll Probably Do Again ed è uscito il 15 aprile.